di Francesco Del Bo
Dimenticate il classico stereotipo del nomade digitale: ventenne, single, freelance della tecnologia al lavoro da qualche remota località asiatica. I nuovi nomadi digitali 2.0, per i quali il Parlamento ha appena disegnato un ‘visto’ di soggiorno apposito, sono cresciuti, e sono oggi in prevalenza esperti di marketing e comunicazione over 35, si spostano con il partner e non disdegnano di soggiornare oltre 3 mesi in Italia, meglio se in una delle regioni del Sud. La prova? Il programma Airbnb per vivere un anno nella Casa a 1 euro a Sambuca di Sicilia ha raccolto in poche settimane oltre 100mila candidature da tutto il mondo. E’ proprio grazie al Mezzogiorno che l’Italia torna in corsa nella partita del turismo post Covid e del lavoro da remoto.
Sono alcune delle evidenze che emergono dal Secondo Rapporto sul nomadismo digitale in Italia, uno studio condotto dall’Associazione italiana nomadi digitali e da Airbnb intervistando un campione di oltre 2.000 lavoratori da remoto o in procinto di fare i bagagli. Il Rapporto verrà presentato domenica a Milano in occasione della giornata di apertura Bit 2022, l’evento leader dei viaggi e del turismo, tornato quest’anno in presenza.
Il 46% dei remote worker intervistati ha già fatto esperienze di nomadismo digitale, mentre il restante 54% dichiara di volerlo fare nel prossimo futuro. Se il fenomeno interessa maggiormente le donne, che rappresentano il 54% degli intervistati, l’età di riferimento è quella dai 25 ai 44 anni (67%). E a livello professionale? Cade lo stereotipo del giovane freelance che lavora in ambito tecnologico: il nuovo nomade è un dipendente o collaboratore (52%), impiegato principalmente nei settori del marketing e comunicazione (27%) e presenta in media un alto livello di istruzione: il 42% ha una laurea e il 31% un master o un dottorato. E questo tipo di esperienza non è più ad appannaggio dei single: chi la sceglie, infatti, preferisce la compagnia del proprio partner (44%) o della famiglia (23%).
Il Mezzogiorno e le isole sono destinazioni gradite complessivamente da ben 3 intervistati su 4 (76%). Le attività che vorrebbero maggiormente sperimentare e che interessano di più remote worker e nomadi digitali sono: gli eventi culturali e quelli enogastronomici (60%), seguiti da attività a contatto con la natura (51%), esperienze originali e caratteristiche del territorio (40%) e da attività di socializzazione con la comunità locale (37%). Durata del soggiorno? Un’esperienza che per molti potrebbe andare da 1 a 3 mesi (42%), oppure da 3 a 6 (25%). Complessivamente, per quasi un nomade digitale 1 su 2, la permanenza potrebbe durare oltre i 3 mesi e fino a 1 anno (45%).
Gli aspetti più rilevanti e irrinunciabili per i remote worker che vorrebbero vivere un’esperienza di nomadismo digitale in Italia e che influenzano la scelta della loro destinazione sono: la qualità della connessione a Internet (65%), costi della vita (61%) adeguati alle loro esigenze, attività culturali (40%) e la possibilità di sperimentare le tradizioni locali (37%). Il 55% degli intervistati ha dichiarato che gli piacerebbe trovare in un unico portale ‘ufficiale’ tutte le informazioni specifiche – dalle tematiche di immigrazione a quelle sanitarie – di cui ha bisogno per scegliere una destinazione rispetto ad un altra, e utilizzerebbe questo canale prioritariamente rispetto ad altri.
Fonte: Adnkronos