di Giovanna La Monaca
Le cosiddette spugne di vetro potrebbero ispirare la progettazione di navi, grattacieli e aerei del futuro. Almeno secondo un gruppo di ricerca internazionale alla frontiera fra Ingegneria, Biologia e Fisica, coordinato dall’Università di Roma “Tor Vergata”, che ne ha studiato le particolari proprietà. L’Euplectella aspergillum è una spugna marina molto particolare nota come “Cestello di Venere“, che presenta notevoli proprietà strutturali.
Una delle particolarità più studiate dai ricercatori è la sua composizione: fibre realizzate in silicio che la spugna estrae sotto forma di acido silicico dall’acqua di mare, trasformandolo in sottilissime fibre di vetro. Da qui il loro appellativo comunemente usato di “spugne di vetro“. A prima vista la sua struttura potrebbe sembrare estremamente distante dalle strutture progettate dall’uomo ma le intuizioni su come il reticolo di fori e creste dell’organismo influenzi l’idrodinamica dell’acqua di mare in cui la spugna è immersa potrebbero portare a progetti avanzati per edifici, ponti, veicoli marini e aerei, e a tutto ciò che deve rispondere alle forze imposte dal flusso di aria o acqua garantendo la sicurezza della struttura.
Seguendo queste intuizioni i ricercatori di Tor Vergata, dell’Istituto Italiano di Tecnologia, dell’Università della Tuscia, della Tandon School of Engineering della New York University e dell’University of Western Australia, con il supporto del Consorzio universitario italiano CINECA, hanno indagato il ruolo dei flussi nell’adattamento del “Cestello di Venere” che vive negli abissi. La particolarità dello studio, appena pubblicato sulla rivista “Nature” con il titolo “Extreme flow simulations reveal skeletal adaptations of deep-sea sponges“, è data dal fatto che la ricerca si è concentrata più sugli aspetti idrodinamici della spugna marina che sulla sua resistenza strutturale, come invece è avvenuto in passato.
La ricerca multidisciplinare, coordinata da Giacomo Falcucci dell’Università di Roma “Tor Vergata” insieme a Sauro Succi dell’Istituto Italiano di Tecnologia e Maurizio Porfiri della Tandon School of Engineering della New York University, è frutto di una collaborazione strutturata su tre continenti (Australia, Europa, Stati Uniti) e si colloca alle frontiere della Fisica, della Biologia e dell’Ingegneria.
Fonte: AGI